Intervista a Francesca Sciarra

Francesca Sciarra e la circolarità del viaggio fotografico tra passato e presente

Che studi hai fatto?

Ho studiato Scienze Politiche perché sognavo di conoscere il mondo ed esplorarlo con la cultura prima ancora che con i viaggi. Studi che ho continuato fino ai 30 anni, fra un master e un dottorato, fino a quando ho capito che dovevo cambiare strada, pur continuando ad esplorare. E così ho iniziato a fare la fotografa.

Quali giochi preferivi nell’infanzia e da ragazza?

Non saprei rispondere. Mi piacevano i giochi da tavolo come Risiko e il Monopoli, ma anche giocare a nascondino per strada, mi piaceva il trenino elettrico di mio padre, l’autopista (quella tipo Policar, per intenderci), il flipper del bar sotto casa… Forse mi piaceva giocare in generale, cosa che mi piace sempre, gioco ancora con i miei figli.

Quali sono le esperienze personali che credi abbiano definito la tua personalità?

Sicuramente la “street”, ma non quella fotografica. Sono cresciuta in un microcosmo di quartiere, come spesso accade a Napoli, in cui c’erano persone di tutti i tipi, di ogni razza e provenienza sociale. Per noi bambini e ragazzi degli anni ’70 Villanova (a Posillipo) era una sorta di villaggio globale, con le porte aperte e la magia della condivisione. Credo che questa esperienza sia stata alla base della mia crescita personale, del mio stile di vita, dei miei ideali.

Credi di aver subito qualche tipo di trauma, nel bene o nel male, che ti ha portato ad intendere la fotografia in un certo modo?

Nessun trauma, ci sono nata dentro e non ho mai smesso di praticarla. Grazie a mio padre sono cresciuta fra le immagini fotografiche e cinematografiche. E, per essere sinceri, non intendo la fotografia in nessun modo perché credo che ci siano infiniti modi di fare fotografia, che per nostra comodità inquadriamo in categorie finite.

Quali libri leggevi da ragazza e quali oggi? Il libro o una canzone che ha cambiato la tua vita?

Amo da sempre gli atlanti geografici, i libri di viaggio e avventura, i gialli e i polizieschi. Gli autori che hanno segnato la mia vita sono Salgari, Verne, Conrad, Hemingway.

Ci sono poche canzoni che mi hanno commosso, che rappresentano dei momenti precisi della mia vita e che non dimenticherò mai. Fra queste, “Jealous guy” di John Lennon, “Your song” di Elton John, “La canzone dell’amore perduto” di Fabrizio de Andrè, “Out on the weekend” di Neil Young.

Possiedi un gatto o un cane? Vuoi raccontarci il rapporto che hai con lui?

In casa siamo in 6, 3 umani e 3 gatti. C’è poco da raccontare, la nostra è una famiglia mista con i suoi momenti di pace, di allegria, con le coccole, i litigi, i suoi piccoli problemi. Mangiamo, giochiamo, dormiamo e viaggiamo, tutti insieme.

Quali sono per te i film che dovrebbe vedere un fotografo?

Un fotografo dovrebbe conoscere il cinema in generale, avere una cultura di storia del cinema. Dovrebbe poi guardare i film con occhi speciali, per carpirne la luce, lo stile, il ritmo, il montaggio, la cura estetica. Poi è tutto molto soggettivo e i gusti fanno il resto. Io adoro Wenders, Kieslowski, Antonioni, Tornatore, tanto per citare alcuni registi particolarmente attenti alla fotografia.

Pensi che nella tua ricerca visiva ci sia

Una sottile linea di confine tra presente e passato

Come ti sei avvicinato alla fotografia?

Non ricordo né quando né come ho preso in mano la mia prima fotocamera, ma in casa si viveva di fotografia. Mi sono avvicinata sicuramente perché mi interessava; in seguito mi ci sono riavvicinata per lavoro.

Quali fotografi/artisti hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?

In ogni età ho avuto passioni e muse ispiratrici. Il primo amore è stato Josef Koudelka, da cui ho imparato l’empatia verso la gente; il secondo Luigi Ghirri, con cui ho condiviso la passione per il paesaggio italiano. Poi sono venuti altri e diversi fotografi ad aprirmi gli orizzonti visivi, a indicarmi una via.

Cosa cerchi di cogliere ed esprimere attraverso la fotografia?

Il mio rapporto col mondo.

C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?

Potrei parlare del paesaggio urbano, una delle mie ossessioni. Della metamorfosi della geografia del paesaggio naturale. Del concetto di frontiera. Ma finirei per dire cose destinate sicuramente a cambiare domani.

Cos’è per te la bellezza?

La bellezza è un dono, ed è racchiusa in alcune zone insospettabili della nostra vita quotidiana: nella semplicità, nell’imperfezione, e ovviamente nelle emozioni. Non è affatto difficile vederla, ma non tutti lo sanno.

Arte e fotografia. Secondo te qual è il confine, se c’è, nella fotografia affinché possa essere considerata arte.

Viene prima l’artista e poi l’arte. Esiste un’opera d’arte perché c’è un artista… e naturalmente anche in fotografia, come in tutte le arti figurative, c’è molta strada da fare. Qual è il confine? Non sono in grado di definirlo, ne ho solo una vaga sensazione.

Descrivi un mondo migliore.

Un mondo dove ci si accorga degli altri e si lavori ad un ideale collettivo. Ci spero ancora e faccio quello che posso nel mio piccolo.

Nel tuo Pantheon immaginario di artisti o fotografi eccellenti, chi c’è? Perché?

Ci sono tanti nomi e tantissime immagini, e sarebbe impossibile per me fare una scelta qualunque.

C’è un libro, però, e di questo vorrei scrivere due parole: è “Il profilo delle nuvole” di Luigi Ghirri, che mi fu regalato nel Natale del 1989. E’ una pubblicazione che chiuse la cosiddetta “stagione del paesaggio” degli anni 80, rivoluzione fotografica che rielaborò l’idea del paesaggio attraverso il contatto quotidiano ed affettivo con il mondo. Nel mio Pantheon c’è la riscoperta dello stupore sincero, dell’assenza, del silenzio, della bellezza semplice. Grazie ai fotografi del “Paesaggio Italiano” abbiamo imparato un nuovo modo di guardare e di accogliere ciò che ci circonda. Come dice Gianni Celati, scrittore che ha accompagnato Ghirri nelle sue spedizioni nella pianura Padana, “Ogni fenomeno è in sé sereno. Chiama le cose perché restino con te fino all’ultimo”.

Secondo te chi è il tipo di persona che acquista le tue foto al PAM?

È sicuramente una persona sentimentale, nostalgica, che ama la sua città e che ha un piede nel passato e uno nel presente. E’ una persona a cui piace ascoltare piccoli racconti di vita quotidiana. Ma è anche una persona che ama perdersi per i vicoli di un centro storico, come nei meandri dei suoi ricordi, alla scoperta di ciò che ancora non conosce.

Cos’è per te il PAM?

Un’occasione per far incontrare fotografi e appassionati di fotografia a Napoli, per promuovere la vendita e per diffondere cultura fotografica al di fuori del circuito delle mostre che sono quasi sempre solo degli eventi mondani.

 

Foto di copertina di Filippo Tufano