Intervista a Lino Rusciano

Lino Rusciano per il PAM: la ricerca della bellezza onirica e armonica

Che studi hai fatto?

Conseguita la maturità classica al Liceo Vittorio Emanuele di Napoli, ho studiato un anno a medicina ma non ho continuato. Evidentemente, la fotografia doveva diventare il mio linguaggio espressivo di elezione.

Quali giochi preferivi nell’infanzia e da ragazzo?

Quando ero piccolo, la mia casa era il centro di accoglienza di tutti i bambini del vicinato. Tantissimi erano i giochi, ma il massimo era giocare a “soldatini”. Nella memoria ho impressa l’immagine di me e Beniamino, il mio amico del cuore, che giochiamo nel corridoio di casa mia, mentre dal giradischi arrivano le note di “A mess of blues” di Elvis Presley. Da ragazzo, invece, mi piaceva girare in bici nei paesini e fotografare i volti della gente, soprattutto quelli degli anziani, che ritraevo fingendo di inquadrare mio cugino.

Credi di aver subito qualche tipo di trauma, nel bene o nel male, che ti ha portato ad intendere la fotografia in un certo modo?

Difficile dirlo, può darsi, ma credo che la mia fotografia sia soprattutto figlia della mia grande sensibilità che, per chi fa un genere di fotografia creativa, è essenziale; anche se a volte nella vita per me è stato un ostacolo.

Possiedi un gatto o un cane? Vuoi raccontarci il rapporto che hai con lui?

La mia casa e il mio giardino sono praticamente uno zoo in cui, con me e la mia Gabri, abitano ventidue gatti, un porcellino d’India, tre cani, una grossa tartaruga acquatica, una calopsite e un’ara. Li amo tutti, ma confesso di avere un debole per Sofia, una gattina di quindici anni, e Ares, un pittbull red-nose del quale sono poco segretamente innamorato.

Quali sono per te i film che dovrebbe vedere un fotografo?

Lezioni di piano, Il paziente inglese, La finestra sul cortile. Mi piace molto anche il cinema

surrealista, come ad esempio il film L’âge d’or.

Pensi che nella tua ricerca visiva ci sia…

Sono alla perenne ricerca dell’armonia, così come di emozioni, da ricevere e trasmettere.

Come ti sei avvicinato alla fotografia?

Quando avevo otto anni ebbi in regalo tre apparecchi fotografici con i quali cominciai a fotografare di tutto. L’aver vinto poi centomila lire in un concorso fotografico con un mini portfolio quando ero ragazzo mi diede una grande spinta. Ho scoperto i grandi autori attraverso i libri e le riviste di fotografia, delle quali ero un avido lettore. Mi innamorai di Man Ray e Bill Brandt, divenuti in seguito gli artisti che hanno segnato profondamente il mio percorso.

Quali fotografi-artisti hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?

Ne cito due: Yves Tanguy e Giorgio De Chirico: nelle opere del primo mi affascinavano le

atmosfere metafisiche con esseri indefiniti e forme misteriose, come se fossero il nostro lato oscuro; di De Chirico, il velo di sospensione che ricopre il reale.

Cosa cerchi di cogliere ed esprimere attraverso la fotografia?

Il lato surreale e misterioso della realtà e le risonanze emotive che essa ha da offrire.

Che cos’è per te la bellezza?

La bellezza è armonia, equilibrio e tutto ciò che ti emoziona, la puoi trovare in tutte le cose,

anche quelle più semplici. Fotografare è anche una continua ricerca di essa.

Arte e fotografia. Secondo te, qual è il confine, se c’è, nella fotografia affinché possa essere considerata arte?

Credo che non esista il confine. Infatti, a me interessa ricercare l’arte tramite il mezzo della

fotografia. La sensibilità della percezione individuale rende personale l’arte di ciascuno, io

cerco di esprimere la mia ricercandola nel mondo, nello sguardo che l’obiettivo mi restituisce.

Descrivi un mondo migliore.

Un mondo in cui l’arte abbia lo spazio per poter contribuire a rendere ciascuno di noi migliore,

e quindi inevitabilmente più felice.

Nel tuo Pantheon immaginario di artisti o fotografi eccellenti, chi c’è? Perché?

Sicuramente David Lynch per il film Elephant Man, la pellicola che amo di più; inoltre Dalì e i Surrealisti, per il loro senso onirico della vita, ma anche gli scultori greci, primo tra tutti Fidia, ai quali mi ispiro per la ricerca di quell’armonia a me tanto cara.

Secondo te chi è il tipo di persona che acquista le tue foto al PAM?

Spero ogni tipo di persona, a prescindere dalla cultura o competenza fotografica. Se un’opera

vale, può essere percepita da chiunque.

Cosè per te il PAM?

Il PAM è per me un’occasione unica per spiegare la mia fotografia, i miei progetti artistici, opportunità che non ho in altre circostanze. Il sentirsi dire “questa tua foto mi ha emozionato” non ha prezzo.

La foto di copertina è di Francesca Sciarra